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tere restituite intatte al postino, la malinconia costante della fanciulla avevano messo la signora Roccaoliva sulle tracce del triste segreto, ma sentendo, nel suo accorgimento di donna saggia e retta, che qualunque tentativo di conforto sarebbe rimasto inefficace, ella seppe rispettarlo e si studiò soltanto di circondare Elfrida delle più gentili e pietose attenzioni e di sollevarla da tutte quelle incombenze che potessero esacerbare lo stato del suo animo.
La fanciulla cercava avidamente, ma indarno, l’oblio nella concentrazione del lavoro, cercava la solitudine per sottrarsi col suo amaro tormento agli sguardi indiscreti e curiosi, ma non sempre le riesciva d’evitare il penoso contatto con la gente,
anzi nell’autunno, essendosi ammalato il padrone dello stabilimento, ella fu costretta per obbligo di cortesia, a farne le veci durante parecchie settimane.
Una sera ella stava riscontrando una spedizione di bulbi dell’Africa, quando le venne annunziato un forestiero che desiderava fare acquisto di rosai. Elfrida s’accostò alla porta della serra, fece due passi, vide un signore da lontano e benchè fosse alquanto mutato, lo riconobbe subito, si fermò e attese, con coraggio. Era Enrico Moras.
Egli veniva innanzi tranquillo, volgendosi a destra e a sinistra, sostando anche per ammirare certe macchie meravigliose di crisantemi in fiore