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posta. Il marchese allettato da quel primo passo e stanco d’una severità che gli sembrava ormai un troppo lungo giuoco, tentò indurla a concedergli qualche appuntamento nelle altre ville o sul Palatino e trovandola sempre ferma nel rifiuto, tornò ai lamenti, anzi l’afflisse coi più acerbi rimproveri.

Allora, nella sua grande e tenera cecità, la fanciulla risolse di compensarlo con lo spirituale abbandono di sè stessa, nella rivelazione del proprio segreto, e invocando soltanto un momento propizio per l’affettuosa confidenza dinanzi alla quale il suo orgoglio aveva sempre esitato si propose di dirgli:

— Ella ha creduto d’amare una modesta fioricultrice, ma io non sono Annie Revel, io sono Elfrida di Vallarsa e il mio casato è degno del casato di Beira...

Alessandro, in vero, non s’era mai mostrato molto curioso di conoscere la sua vita passata, ma ella attribuiva quell’apparente indifferenza a un delicato riguardo e nella sua assoluta persuasione d’appartenere ad una casta superiore, godeva, per la dolce meraviglia che proverebbe il giovine ravvisando in lei una gentildonna sua pari.


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Nel pomeriggio del giovedì santo Elfrida era andata a San Giovanni in Laterano per ascoltarvi la musica.

Il fiore dell’alta società romana e della colonia