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e per andare in villa presso Perugia, con tutta la famiglia, ell’acconsenti a ricevere le sue lettere, non così a rispondere. Trascinato dall’insodisfatta passione, Alessandro, in quel tempo, non seppe trattenersi dal fare qualche corsa alla capitale per rivedere la fanciulla, poi cercò d’affrettare il suo stabile ritorno. Ma il persistente riserbo d’Elfrida cominciava ad irritarlo, e l’amore, deluso nelle sue aspettazioni, ricorreva di quando in quando, ma sempre indarno, al pericoloso rimprovero di freddezza, dinanzi al quale la donna facilmente s’intenerisce e s’arrende.
Elfrida usciva pochissimo: la libertà che l’era concessa dalla sua posizione l’offendeva quasi nei suoi istinti di fanciulla patrizia, gelosamente custodita. Soltanto una o due volte al mese ella concedeva un eletto conforto al suo spirito e fornita d’una buona guida, errava fra le rovine, nelle chiese, nei musei. Sebbene si fosse sempre guardata dal comunicare ad Alessandro di Beira i suoi piani, ella lo incontrò un giorno di marzo, nella Villa Borghese. I due giovani visitarono insieme la mirabile galleria, poi scesero a passeggiare nei larghi viali, sotto gli elci secolari, nei prati seminati di viole. Quell’inatteso ritrovo, quel prolungato colloquio in cui le anime s’erano effuse nella contemplazione delle cose belle, avevano dato a Elfrida una gioia violenta, poi un’ineffabile dolcezza, ma quando Alessandro aveva espresso il desiderio d’accompagnarla a casa, la fanciulla s’era recisamente op-