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Ma, all’uscire dal loggiato che circondava, a terreno, due ale del grande stabilimento orticolo, il giovine, istintivamente, si fece da parte, perchè ella lo precedesse.
Era una ragazza di statura piuttosto alta che media, pallida, bionda, d’apparenza fredda e fina. Vestiva semplicemente, con colletto e polsini da uomo, portava i capelli raccolti sulla nuca in un grosso nodo trafitto da uno spillone di tartaruga, nascondeva le mani piccole sotto lunghi guanti usati di pelle di daino.
— La signorina è forse la figlia del proprietario Roccaoliva? — domandò il giovine osservandola, con una certa curiosità, mentr’ella s’inoltrava con un portamento leggiadro insieme e altero, tra le fiorite aiuole.
— No, signore.
Quel giardino perduto nella campagna, sembrava un’oasi di fiori. Biancheggiavano i gigli accanto alle pompose peonie, i rossi papaveri macchiati di nero, rifulgevano di luce sotto i candidi cespugli delle spiree, le strane iris giapponesi formavano delle macchie gialle e lilacee sugli orli delle fontane; ovunque si volgesse per i tortuosi sentieri cosparsi di rena bianca il giovane non scorgeva che fiori, sempre fiori. E tutt’a un tratto una vista abbagliante e più delle altre meravigliosa gli si affacciò allo sguardo: il campo delle rose tutto vivido di colori.
Il roseto era tagliato da un largo viale e occu-
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