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lettuccio, ma non potè dormire. L’incontro con Moras sembrava aver destato nella sua mente assopita la facoltà di riflettere, il bisogno di agire. Il desiderio d’abbandonare quei luoghi che da qualche tempo s’era confusamente affacciato al suo incerto pensiero si faceva imperioso come una sùbita necessità. Il suo piccolo peculio, tra qualche settimana sarebbe esaurito, ella dovrebbe dunque provvedere seriamente ad una onorata indipendenza.
Ma come?... cercare un posto d’istitutrice? conosceva le lingue, era colta, l’insegnamento non le faceva paura, ma quanta contrarietà sentiva invece, per quella vita di sacrifizio, tra fanciulli viziati e genitori parziali!.... farsi monaca?... la cieca ubbidienza ripugnava al suo spirito indomito, la reclusione del chiostro al suo amore per la natura...; dama di compagnia?... nemmeno, nemmeno !...
Eppure in qualche maniera il pane bisognava trovarlo, e una Vallarsa, non poteva mettersi alle poste o ai telegrafi!...
Sull’umile tavolino d’abete, accanto al letto, in un bicchiere, sbocciava una bella rosa rossa, esalando un delicato olezzo. Elfrida contemplò a lungo quel fiore cresciuto nel suo roseto, una vaga speranza le balenò alla mente, le parve che tutt’a un tratto s’acquetasse il tumulto della sua anima e, vinta dall’emozione e dalla stanchezza, finì coll’assopirsi sul piccolo guanciale, mormorando una fervida preghiera. Ella sognò di trovarsi in un