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Era un giovine di mezza statura, tarchiato e robusto. Vestiva con una semplicità campestre non priva di lindura; le sue mani brune tradivano l’abitudine del lavoro; dal volto abbronzato e adorno da una folta chioma nera e da due baffi nascenti, dagli occhi azzurri, sereni ed onesti spirava una fisica e morale salute. Poteva avere ventiquattro anni.
— Se desidera parlarmi — disse Elfrida — la prego d’affrettarsi perchè io vorrei tornare a casa.
— Il mio pensiero non è facile da esprimersi — balbettò Moras con un forte tremito nella ‘voce e esitando ancora come se sperasse ingenuamente d’essere indovinato — il castello di Vallarsa...
— Non ricordiamo cose che devono rimanere nell’oblio.
— Nell’oblio? perchè?... non sarebbe più giusto che il passato rivivesse?... io vorrei restaurare una parte del castello...
— Esso le appartiene, signore. Sta nella sua volontà di farne ciò che le pare e piace. La mia opinione in proposito è affatto inutile.
— No, signorina, non mi pare inutile. Un suo gentile consiglio mi sarebbe anzi doppiamente prezioso. Il mio desiderio era quello ch’ella non lasciasse mai il tetto paterno. Ell’ha voluto partire e io bramerei che fra quelle care mura si compiacesse di tornare, signora e regina...
— Io? non comprendo! — esclamò Elfrida con un atto d’altera meraviglia.