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nuovi, l’incontro per lei molto sgradevole si ripetè parecchie volte. Anzi una sera, nell’ora del tramonto, il giovine la raggiunse sulle rive d’un piccolo lago alpino che si nascondeva, come uno zaffiro perduto, fra le rocce a poca distanza dalla casa dell’impiegato forestale.

Egli aveva trovato un guanto nero sul muschio: sicuro di non essere in errore, si faceva lecito di restituirlo... nel tempo stesso domandava informazioni intorno alla salute della signorina.

Elfrida arrossì vivamente e rispose con la dolcezza grave che le era abituale:

— La ringrazio, signore, io sto bene.

Nello smarrimento del suo sguardo, nella fronte un po’ contratta si leggeva una ripugnanza che la volontà tentava indarno di reprimere, ma il giovine infervorato da un’idea predominante, non se ne accorse, anzi ‘le si avvicinò con una certa familiarità rispettosa e dopo una lieve esitazione osò rivolgerle la parola.

— Ella si sarò forse accorta, signorina, che da qualche tempo seguo i suoi passi....

— No, in verità. So semplicemente d’averla incontrata — rispose Elfrida, con freddezza.

— Ebbene, mi consenta di dirle che quegl’incontri non nascevano per caso. Io fui felice oggi che il suo guanto m’offrisse l’occasione di raggiungerla e di parlarle, perchè aspettavo, con la più ardente impazienza questo momento...

Elfrida lo guardò, forse per la prima volta, in faccia con una curiosità alquanto sdegnosa.