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striale, il più discreto dei suoi creditori, riservandone l’usufrutto alla moglie, finchè sarebbe vissuta. Egli non dubitava certamente che la sna figliuola potesse trovare un valido appoggio nel matrimonio, Ma per Elfrida, la perdita della madre doveva essere non solo uno strazio dell’anima ma anche l’indigenza e la solitudine. La duplice sciagura non tardò a colpirla.
Limata dal lungo e tacito soffrire, una sera, al tramonto, mentre la fanciulla le sedeva dinanzi su uno sgabello, parlando del passato, la povera signora sentì un leggero, fuggevole affanno, poi un’angoscia più grave e prolungata, s’abbandonò, con una stanchezza mortale nella sua poltrona, e reclinando la pallida fronte sul petto anelante d’Elfrida, si tacque per sempre.
Elfrida non aveva nè stretti parenti, nè intimi amici, tuttavia, nei primi momenti della sua sventura, ella trovò se non un efficace sollievo, una partecipazione affettuosa al suo dolore. Un’ lontano cugino materno, cui ripugnava il pensiero che una Vallarsa si trovasse nel bisogno, le offerse un amichevole asilo nella propria famiglia, ma la fanciulla pur riconoscendo la generosità della proposta non accettò: rifuggiva con orrore dal benefizio.
Col ricavo d’una fila di grosse perle che le aveva regalate la sua matrina e che serbava qual. preziosa reliquia della sua lieta fanciullezza, ella pensò a ricomporre in pace la salma della madre diletta, in una borgata vicina, nella tomba dei