Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Col volgere degli anni e delle vicende la stirpe dei conti Vallarsa di Revel s’era isterilita e il vistoso patrimonio di famiglia, sciupato da invincibili abitudini di grandezza e dalla passività della gleba esausta, cadeva anch’esso in completa rovina. Venduti i palazzi in città, vendute le ville, abbandonate le terre infeconde nelle mani degli avidi creditori, dell’antica ricchezza non rimaneva che un solo ricordo, perduto in una gola delle Alpi carniche tra i pinnacoli d’una secolare abetina, un castello mezzo diroccato il cui nome, nei fasti della signoria medioevale, s’era fatto celebre per la prepotenza del dominio.
Eredi d’una triste gloria, sole rappresentanti ormai dell’illustre casato, due superstiti donne, madre e figlia vivevano derelitte fra quelle memori mura, alimentandosi del loro reciproco, esclusivo e sviscerato amore. Entrambe serbavano intatto l’aristocratico tipo, gelosamente custodito colla distinzione di una discendenza raffinata, ad
24 |