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della natura, gli veniva nell’animo una specie di annientamento, di calma profonda, mortale. Era come l’abolizione perfetta delle aspirazioni individuali. La volontà, sì a lungo addestrata ah suo nobile ufficio, si riaveva dalla sua momentanea impotenza per riprenderlo con maggiore efficacia.
Gli riapparvero all’improvviso tutte le visioni umanitarie della sua giovinezza, le visioni della miseria che a se stessa soccombe, del vizio che abbrutisce e corrompe, dell’eccessivo lavoro che uccide, delle infermità ereditarie che non perdonano, e il suo antico sogno di votarsi a coloro che soffrono senza concedere al suo cuore le gioie distraenti della famiglia, divampò, in tanto affanno, come una fiamma purificatrice, assorbendo la sua afflizione.
Lentamente egli ridiscese alla città e, senza esitare, s’avviò alla clinica di S. Maria Nuova.
Il suo compagno era già al posto e s’affrettò di condurlo nella sezione delle tisiche ove allora si stava esperimentando la linfa, ancor sempre infruttuosa, del dott. Koch. Rose andò di letto in letto, interrogando, trovando quella benevola parola di conforto che tradiva il psicologo; si trattenne molto presso un’inferma che giaceva da mesi per un grave disinganno d’amore, finì al capezzale d’una fanciulletta dal volto estenuato, dai folti capelli castani, dal profilo impresso d’una gentilezza altera, come quello di certi angeli antichi, come quello di Manuela.