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trastabile possesso del suo spirito, doveva essere sua, la dolce compagna, la donna diletta, il prezioso frutto della nobile vittoria. Invece, Montemagno se l’aveva presa, tutta per sè, lassù nella sua casa, mentre egli la guariva..... E adesso era lui che portava in petto l’insanabile piaga.

Rose non aveva mai sentito un tale tumulto di passione martellargli nel cuore e nel cervello, mai il desiderio personale s’era acuito con un tale spasimo nella sua anima avvezza alle abnegazioni.

Errò a lungo, senza mèta. Da due notti non si coricava, ma nel suo febbrile eccitamento non sentiva nè sonno nè stanchezza alcuna. Finì col trovarsi in una stradicciuola di campagna, dalle parti di S. Miniato.

Albeggiava. Il giorno era sereno e il sublime paesaggio di Firenze emergeva a poco a poco dalla penombra illuminandosi d’un chiarore blando. Dai muri campestri pendevano lunghi rami di rosai precoci in fiore: un olezzo penetrante di primavera veniva dai frutteti e i cipressi neri s’ergevano come fantasmi tra i biancheggianti ulivi. Il mormorio della città che si destava, i suoni lontani dell’Angelus, il canto mite degli uccelli non turbavano la poesia del silenzio mattutino e quel silenzio era grande.

Rose si asciugò la fronte e respirò largamente. Fino a quell’ora gli era sembrato di soffocare nel suo dolore, ma adesso dalla stessa ineffabile voluttà di quel dolore, dinanzi alla quiete sovrana