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stabilimento, Rose si dedicò con trasporto alla se-
lezione degli elementi necessari per un suo nuovo
lavoro sulle malattie della volontà.
L’abuso delle forze intellettuali e l’intensità dell’occupazione andavano alterando la sua salute di consueto così sicura e vigorosa. Egli non s’ac- corgeva che quel bisogno raddoppiato di attività, quell’ansia febbrile d’impiegare tutte le facoltà mentali nello studio, era un istinto dell’anima pau- rosa di rimanere sola con sè stessa e di dover forse indagare il proprio spasimo latente nei pericolosi silenzî del riposo.
Ma un giorno una mortale stanchezza lo prese, un improvviso abbandono di forze lo abbattè nel maggiore ardore dell’opera : egli sofferse quanto non aveva sofferto mai, e nel suo cuore scrupolo- samente fedele, la passione sopita, non vinta, di- vampò come una fiamma divoratrice.
«Vederla, vederla!» esclamava egli follemente fra sè, «vederla ancora una volta!»
E una sera di marzo si mise in treno e partì per Firenze. Ivi giunto, il suo primo passo fu alla clinica di S. Maria Nuova ove aveva un amico che s’interessava dei suoi studi: egli voleva dare a quel viaggio, uno scopo scientifico. Andò poi in via Tornabuoni ove era il palazzo Aparia e constatò con gioia che i padroni non erano assenti, ma non volle entrarvi. Il suo amor proprio si ribellava.
In quel giorno istesso davano alla Pergola un’opera nuova, Manuela non poteva mancare; era