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disfatto, non v’ha godimento più puro e più vero di quello d’un uomo che a se stesso impone privazioni. Delle rose intorno ad una croce: ecco il simbolo dell’umana vita.»

La voce dolce ed armoniosa si tacque, e Rose non fece commenti. Disse soltanto con un grande sforzo: — Grazie, Manuela!... rassereniamoci dinanzi a questa luminosa letizia del creato!... — E risalirono insieme l’erta china dello stabilimento, rientrando in casa dalla parte della collina.

Quando furono giunti presso alla stanzetta numero 10, la fanciulla tolse alcuni fiorellini dal mazzetto che aveva raccolto per via e li porse al medico che non potè a meno di stringere un secondo fra le sue la manina bianca della donatrice. Poi s’allontanò rapidamente, e passarono due giorni prima che la signorina Aparia rivedesse da vicino Gustavo Rose.

Fu la marchesa che lo mandò a chiamare per un improvvisa indisposizione della figliuola. Era stata a passeggiare sullo stradale di Biella con due signore e col conte di Montemagno, narrava Adele, la cameriera, e al ritorno s’era sentita male assai. Pallida, alterata in volto, in preda alle più penose contrazioni, Manuela accolse il dottore con un lamento. Egli le sedette daccanto, e dopo aver inteso da donna Cristina come avesse cominciato quell’affanno, le disse alcune parole di conforto, poi mormorò piano:

— Reagisca colla mente quanto può, Manuela...

— Non posso, non posso. Sono sfinita.