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randosi d’essere così debole e mormorando il precetto: «medico, cura te stesso». E, fatto il proponimento di chiudere quella sua angoscia nel più profondo silenzio dell’anima, per quanto il lavoro ora gli sembrasse meno dolce e più grave il dovere, egli vi ritornò con coraggio e s’impose un’abnegazione ancor più generosa e più intera.


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Il giorno seguente, prima della levata del sole, s’imbattè nel giardino con Montemagno e così passeggiando cominciò a prenderlo sotto la sua direzione. Il giovine signore s’era indebolita la salute per eccesso di lavoro, dopo aver compiti gli studi in un istituto di scienze sociali. Il suo bell’ingegno, la sua tempra forte, seria, geniale ispirarono a Rose la più viva simpatia. Egli si trattenne nello stabilimento fino alla chiusura e il medico ebbe dalla sua presenza un grande conforto intellettuale, dai rapidi progressi della sua cura, nuove sodisfazioni.

La marchesa aveva promesso di scrivergli e mantenne la parola circa due settimane dopo la sua partenza. La lettera era datata da una villa del Casentino, portava molti particolari e le più vive espressioni di gratitudine per Manuela che stava abbastanza bene; dalla fanciulla un cordiale saluto, null’altro. Rose rilesse mille volte quello scritto ch’era venuto ad irradiare di luce improv-