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giù per la china. I conoscenti andarono tutti in giardino, in un piccolo belvedere, donde si poteva mandare alle viaggiatrici l’estremo saluto. Rose, inosservato, si ritrasse solo, con un pallore di morte in fronte, e rientrando dal cortile, vide Montemagno, il nuovo bagnante, che appoggiato allo stipite duna porta, aveva assistito alla scena, in lontananza, da estraneo qual era.

Egli ricomparve soltanto all’ora della cena, pensando con invincibile amarezza ai posti che troverebbe vuoti o peggio occupati da altri. Difatti i commensali s’erano ristretti verso di lui. Più tardi, al solito, essi si riunirono nel chiostro e in sala, e certe signore, che parevano un po’ neglette prima, presero subito gloriosamente anche li il posto della marchesa Aparia e quelli stessi che ne avevano deplorato la partenza si affrettarono di raggrupparsi intorno al nuovo centro. A Rose, che si sentiva qualche cosa di morto in cuore, cui pareva di trovarsi egli stesso in un vasto deserto, dopo la partenza di Manuela, tornava strana, insopportabile quasi, la serenità degli altri. Eppure tutto era già ricomposto in un ordine novello, come se nulla fosse accaduto, e appena si sentiva qualche voce di vago lamento: «Che peccato quella buona marchesa! quella simpatica Manuela!», cui altre voci, solo per cortesia, facevano eco, riservandosi forse di mormorare più piano meno benevole cose.

Samara, tornato da Biella col suo compagno, faceva la corte ad una giovinetta di Torino, piccola,