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— Sì, la ringrazio. — E nel volto abbattuto della fanciulla lampeggiò uno sguardo di dolore così intenso che Rose n’ebbe trapassate le viscere.
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La domenica era un giorno di riposo anche per la cura. Dopo la lieve spugnatura al sorgere dal letto, pazienti e bagnaioli avevano tutti vacanza. I forestieri che meglio si reggevano in piedi profittavano di quelle ore di libertà per combinare qualche gita a Graglia, o ad Oropa, per fare la trottala lungo la pittorica valle del Cervo. I più infermi, rimasti padroni del luogo, se la spassavano nelle ombre del parco, felici di non udir rumore di fontane, nè di doccie. Un piacevole silenzio festivo regnava sulla casa. In quella loro prima domenica, le signore Aparia avevano preferito rimanersene fra g! invalidi, ma non si erano lasciate scorgere che all’ora del desinare.
Calava il crepuscolo e non era tornato ancor nessuno da fuori, quando giunse all’orecchio di Rose il suono d’una dolce melodia. Suonavano il pianoforte, in sala. Di solito qualche signorina strimpellava un pezzo insulso, venuto di moda entro l’anno, o una ragazzetta, esortata dalla madre amorosa, si esercitava ripetendo mattina e sera scale e preludi; ma questa era una mano diversa e nuova, una mano esperta che correva facile e con un tocco pastoso sulla tastiera. Gustavo Rose, cui le sonatine quotidiane solevano dare un invin-