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del giorno estivo che si diffondeva sul verde fresco dei castagni, sui prati fioriti di miosotidi azzurre e di rosee eritree era così contagiosa, che all’improvviso la sua contenuta giovinezza ebbe come un senso di entusiasmo doloroso, dinanzi alla confortevole serenità dell’alpestre paesaggio. Errò più d’un’ora nei dintorni dello stabilimento, cogliendo fiori e riscaldandosi ai primi raggi del sole, e fu con un senso di strano benessere che, al ritorno, sedette alla tavola della colazione, nella grande sala che cominciava a popolarsi, e gustò il suo bicchiere di latte appena munto, rosicchiando i tradizionali grissini piemontesi.

Ma, entro la giornata, quando il tedio del caldo cominciò a farsi sentire daccapo entro le anguste camerette dell’antico monastero, il fuggevolo entusiasmo di Manuela si mutò in un’amara tristezza, in un grave abbattimento. Stette molte ore seduta ad un tavolino, sorreggendo fra le mani la testa che le sembrava cerchiata di ferro. La marchesa accorata voleva avvertire il dottore, ma ella la supplicò di non dirgli nulla, e quando venne l’ora del secondo bagno s’avviò come una vittima verso il buio e tetro camerino per farvi la sua immersione. Col medico scambiò poche parole e la sera non ci fu verso di farla scendere in sala.

Dopo tre o quattro giorni di cura assai blanda, alternata fra bagnature e massaggio, Manuela sembrò sentirsi ancor meno bene e Rose cominciò a mettersi in angustia.

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