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Quando Montalto seppe che Violante sarebbe andata a quella festa, per quanto la cosa gli sembrasse giusta e ragionevole, si sentì fremere da capo a piedi ed ebbe un impeto di selvaggio dolore. Seppe tuttavia dissimularlo, ma la sera in cui le signore dovevano recarsi al ballo, incapace di privarsi per tante ore della loro vista, egli passò da casa Riace, colla scusa di riprendere una romanza dimenticata.

La marchesa stava vestendosi, e Violante, già pronta, aspettava nel salotto. Ella ricevette il suo maestro colla solita amabilità, gli tolse di mano la gruccia ed ebbe cura di accostare per lui un seggiolone al camino ove ardeva uno di quei buoni fuochi così graditi al giovane freddoloso. Egli sedette, sforzandosi di parere disinvolto, ma in realtà era come trasognato.

La fanciulla gli stava dinanzi nel suo candido vestito stellato da mazzolini di fresche viole, stringendosi alle spalle una mantelletta bianca. Semplicissima, non portava nulla in testa, fuorché lo splendido ornamento dei suoi capelli castani, stretti in un ricco nodo, ma il suo volto era insolitamente suffuso di colore, il suo bel sorriso luminoso aveva una speciale irradiazione.

Montalto, non visto, la guardò intensamente, mentr’ella s’allacciava i lunghi guanti.

— È felice di questo ballo, marchesina? — disse alfine, dopo un lungo silenzio, smorzando in una frase qualunque il ribollimento dei propri pensieri.