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volti emaciati, espressioni di patimento e di tristezza. I commensali salutarono guardando con evidente curiosità. Il dottore, prima di mettersi al suo posto, aveva scambiato qualche stretta di mano, aveva fatto qualche domanda a mezza voce. La conversazione era tranquilla, un po’ stentata, a momenti nulla. L’atmosfera di quella lunga sala buia e tetra sembrava quasi cruda. Manuela rabbrividì.
— Hai freddo? — domandò donna Cristina.
— Sì, mamma, molto freddo.
— Qui dentro mi ci gelo anch’io! — lamentò come fra sè il giovane pallido — eppure siamo in giugno!
E un colpo di tosse gli troncò le parole in bocca.
Manuela guardò appena le carni lesse, insipide, le frutta cotte, i cibi blandi che alcuni camerieri poco eleganti servivano a quella mensa frugale, ove le poche persone sane si distinguevano per la piccola bottiglia di vino che stava loro dinanzi, e, prima che la cena fosse terminata, s’affrettò ad uscire nel chiostro con sua madre. Le due signore sedettero su una panca e il medico ve le raggiunse rimanendo a preferenza con loro, cortesia che soleva usare sempre ai nuovi arrivati.
Cominciava appena a calare il crepuscolo, le ciocche fragranti delle rose biancheggiavano nella penombra sugli archi anneriti dal tempo e i bagnanti, a due, a tre, passeggiavano su e giù, discorrendo quasi sempre dei propri malanni e