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In quel punto una campanella suonò.
— È il primo segnale della cena — disse Rose.
— Siamo ancora vestite da viaggio — esclamò donna Cristina.
— Vengano così, vengano così, per carità!... insistette il dottore. — È troppo seria la cura per pensare all’eleganza. Da questo luogo il lusso deve essere bandito, indarno lo predico ogni giorno!....
— Sta bene, obbediremo volentieri. Ma tu, Manuela, appuntati quella treccia che s’è sciolta.
La fanciulla, piegandosi un poco indietro, sollevò la bella treccia morbida che le scendeva fin sotto il ginocchio e nel farlo ebbe un inconscio sorriso anche lei, ma un sorriso lieve e mortalmente triste come di persona a cui fosse stato tolto ogni bene.
Poi scesero tutti e tre a terreno nell’antico refettorio ridotto a sala da pranzo. La tavola lunghissima essendo costruita a ferro di cavallo, accadde che le signore Aparia si trovassero non lungi dal dottore il quale occupava il posto di mezzo per poter dominare tutti i suoi infermi.
La marchesa era vicina ad un signore di media età, affetto da spinite cronica, Manuela ad un giovine pallido dai pomelli rossi e dai tolti capelli neri, un bel giovane condannato inesorabilmente dalla tisi e che i medici avevano mandato da Rose per non sapere più che farsene. Dirimpetto sedeva una signora neurastenica con due figliuole adolescenti, malinconiche, limate dall’anemia; ovunque