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Manuela invece si lasciò cadere sopra una seggiola in atto di profondo scoraggiamento.

— Spero che non mancherà nulla! — concluse, partendo, l’impassibile segretario come se le lasciasse in una regale abitazione. — Tuttavia, qualunque cosa desiderassero, non hanno che a parlare...

— Che cosa fai? non ti muovi? — domandò donna Cristina, ravviandosi i capelli dinanzi all’unico specchietto sgraffiato che le fosse riuscito di trovare.

— Mi sembra impossibile di dover rimanere qui. Mi manca il respiro.

— Andiamo, figliuola, non mi crucciare così — mormoro quietamente la marchesa che non sempre riesciva a comprendere, nella sua fiorente salute, i patimenti della fanciulla.

Intanto Adelina, la cameriera, contemplava con disprezzo i soffitti bassi, i muri dipinti rozzamente dall’imbianchino, i pavimenti scuri di castagno, senza vernice, il mobilio scarso e d’una semplicità cenobitica, deplorando a mezza voce:

— Nemmeno una poltrona! Nemmeno una sedia a sdraio! Misericordia, quanto è duro questo sofà! Sembra proprio un convento...

— Difatti, queste saranno state un giorno le celle delle monache. Sta zitta, Adele, non accrescere, coi tuoi inutili lamenti, il disgusto della signorina. Studiamo piuttosto d’accomodarci alla meglio.

E dopo aver pensato un poco alla sua toilette