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nica, la serietà nordica, l’eccessiva rigidezza del carattere erano in lui temprate da una bella vivacità latina che raddoppiava l’efficacia del suo acuto e personale ingegno.

Nell’adolescenza, forse per impulso di qualche latente attitudine, s’era sentito infiammare dalla passione della musica, formando anzi il proposito di dedicarvisi, poi, nell’età più ardente e decisiva, la perdita prematura dei genitori, ch’egli adorava, l’aveva spinto, ad un tratto, allo studio della medicina.

Dopo averne presa la laurea a Pavia, s’era recato all’estero onde frequentare le cliniche primarie e occuparsi in particolar modo delle malattie nervose i cui misteri psicologici stimolavano in lui è l’istinto dell’indagine.

Per la musica gli era rimasto un culto, e, quantunque non suonasse più alcun istrumento, non trascurava quei mezzi che potessero approfondire la sua cultura nell’arte classica, e tenerlo in corrente coi progressi dell’arte moderna.

Era questo l’unico svago che si concedesse.

Da cinque anni era tornato in Italia e aveva preso a dirigere uno degli stabilimenti idroterapici del Piemonte, prodigando agli infermi, oltre le cure scientifiche, anche la pietà del cuore che nella consuetudine di veder soffrire gli si era pur sempre serbata integra e viva.