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perspicace affetto d’Alwine era stato in grado di trovarmi. Ella telegrafava: «Signora gravemente ammalata, Venga subito».


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Quando entrai, a notte, nella villa Subeiras un silenzio profondo m’accolse. Tutto sembrava morto. Nell’atrio nessuno. Salgo le scale col cuore in tumulto. Alwine s’affaccia al pianerottolo tutta alterata in volto. La interrogo con un canno, ella risponde con un altro cenno desolato. Nell’anticamera trovo una ragazza piangente.

— Dunque! — esclamo — parlate in nome del cielo! Sta così male?

— Molto, molto male — singhiozza la cameriera.

Io m’avvio verso la camera da letto d’Emilia. Alwine mi trattiene, mettendomi una mano sul braccio

— Non adesso, c’è il prete.

To caddi sopra un divano senza sapere quello che mi facessi. Il pensiero ch’Emilia potesse ammalarsi seriamente e morire non m’era mai balenato alla mente: dinanzi a quell’idea spaventosa io provai, in un momento solo, tutti gli spasimi del mio castigo. Passarono ore, minuti, non so. Ricordo ch’Alwine mi disse:

— Ho telegrafato in tanti luoghi... temevo di non trovarla...