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era tremante, ma io rimasi impassibile; il mio cuore era come impietrito.
La mattina seguente lasciai la villa e andai errando, più giorni, di città in città, di paese in paese, senza direzione, senza scopo, senza veder nulla e nulla comprendere. Un istinto indeterminato, una vaga speranza mi spingevano verso l’ignoto, ma non mi dava pace nè il tumulto dei grandi centri nè il silenzio della natura. Ero andato verso il nord fino ad Amsterdam: colla stessa volubilità ridiscesi senza fermarmi sul Reno, per entrare nel Würtemberg. Da dieci giorni non avevo preso un giornale in mano, nè, per uno sforzo violento, avevo mai scritto ad Irene. A. Stoccarda, in un caffè nella Königsplatz mi cadde sott’occhio il Corriere della Sera. Mentre ne scorrevo distrattamente le pagine, il nome della compagnia C.... m'attrasse lo sguardo. Essa dava a Venezia un breve corso di recite, Irene Saradia aveva già suscitato, insieme al primo attore, un delirio d’entusiasmo. Senza riflettere più oltre, io partii subito per Bregenz, traversai, di notte, l’Arlberg e, percorrendo rapidamente il Tirolo, mi recai nel Veneto.
Giunsi a Venezia verso le sette della sera, appena sceso all’albergo, mandai a prendere un palco al teatro Rossini, ne trovai uno per caso, al terzo ordine.
Davano l’«Odette». Irene entrò in scena, volse subito lo sguardo verso di me, istintivamente. Io mi ritirai, non volendo essere veduto, ma ella mi