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Finito il corso di recite a Torino, Irene s’era ritirata in un villino solitario, sul lago di Garda, e mi scriveva, quasi imperiosamente, di raggiungerla. Io non potevo nè lavorare nè chiudere occhio, mi sentivo impazzire.

Emilia, inquieta per la mia salute, m’esortava ogni momento di consultare un medico. Dopo essere stato chiuso in casa tutto il giorno, io passavo le notti in giardino farneticando; amavo perdermi nelle ombre fitte del bosco, sulle rive di un canale, qui presso, le cui acque torbide vanno lente lente al fiume e poi al mare. Parecchie volte, Emilia angustiata, venne a cercarmi.

Quando vedevo la figurina nera scendere di notte dai gradini della villa, e comparire da lontano, io fuggivo disperato come se fuggissi la mia coscienza, ma ella sapeva trovarmi, il suo cuore fedele e amante mi scopriva, ovunque. Ella mi prendeva dolcemente per la mano, come un fanciullo, e mi riconduceva in casa. Io mi lasciavo trascinare, ma una sorda ribellione s’agitava entro di me. Ella mi parlava con calma e con mitezza come si fa coi pazzi e cogli ammalati; la sua ragione, sempre desta, le permetteva di dominare sè stessa, e quella quiete mi esasperava al segno da togliermi il lume dell’intelletto.

Una notte, oh come lo ricordo!.... io perdetti interamente la coscienza delle cose, io mi svin-

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