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tra le falde del suo vestito come se le morissero in seno.

Ella mi guardava intensamente, quasi per interrogarmi sull’estatico silenzio in cui ero piombato e anch’io mi sentivo morire Ad; un tratto Irene mi disse:

— Alvise, voi siete molto infelice.

— Perchè? — esclamai, sussultando.

— Perchè avete sacrificato il vostro maggior bene, la libertà.

— Come sapete voi? come potete saper questo? E il ricordo della buona Emilia, forse per l’ultima volta, si ribellò nella mia coscienza, insorgendo contro l’inquisitivo colloquio. Ella se n’accorse subito e riprese:

— Vi rincresce che v’abbia letto nell’anima? Voi forse non avevate il coraggio di confessarlo a voi stesso. Eppure è necessario che guardiamo bene in faccia al nostro destino, ond’esso non ci sorprenda disarmati e ci soggioghi. La via tempestosa dell’arte non s’accorda colla placida monotonia della famiglia e le blande aspirazioni della tiepida felicità domestica non possono avvicendarsi colle gioie ardenti, coi dolori atroci della vita pubblica. Vi rincresce che ve lo dica? non è la verità questa?

— È la verità e perciò non può mutare.

Ella mi guardò con un enigmatico sorriso e subito mi chiese:

— Tornate presto laggiù?