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di che si trattava: una bronchite leggera. Ma la malattia non tardò ad aggravarsi, anzi divenne minacciosa, e dalle angosce del proprio cuore, come dalla gioia violenta che loro successe per l’insperata guarigione di Violante, il giovane comprese e confessò chiaramente a sè stesso qual fosse la potenza arcana che lo tratteneva.

Gli era così dolce l’amicizia di casa Riace! Gli riescivano così grate quelle lezioni seguite quasi sempre da artistici colloqui! Egli ne attendeva l’ora con una certa ansietà: era sicuro di trovare la fanciulla al pianoforte, sapeva ch’ella gli verrebbe sempre incontro con la tenera deferenza, con l’atto gentile dei primi anni, a levargli di mano la gruccia; sapeva che avrebbe per lui un affettuosa sorriso, un’amorevole parola, forse un fiore preferito.

La marchesa, sempre bella ancora, sempre cortese nel suo contegno un po’ rigido ma immutabile di gentildonna, si affrettava a riprendere il suo solito posto in un angoletto e si metteva a leggere o a scrivere. Non stavano più ora nella camera di studio di Violante, bensì in una sala destinata unicamente alla musica ove non erano nè tende, nè quadri, nè mobili inutili che potessero alterare la sonorità dei suoni. Alcuni soffici divani coperti d’una stoffa color di rosa antico correvano lungo le pareti marmorizzate; due Pleyel a lunga coda occupavano il centro; tra le finestre era un harmonium d’Alexandre; poche seggiole, gli scaffali della musica e