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con una cugina, sua solita compagna nella vita errante dell’arte.

Non dimenticherò mai il giorno in cui il mio sguardo s’incontrò per la prima volta con quella d’Irene.

La trovammo intenta a studiare la parte di Magda nella «Casa paterna». Era distratta e ci accolse con una certa freddezza. Poi la conversazione s’andò gradatamente animando.

Dal suo talento originale, dalla magìa della sua parola, dalla sua intellettuale e per me fulgida bellezza io rimasi ammaliato come da una sconosciuta gioia.

Ell’era bionda di quel biondo argenteo e fino che s’attribuisce alle fate; gli occhi grandi, d’un azzurro cupo, pronti a rispecchiare il perspicace pensiero, avevano dei riflessi verdi e neri come la laguna nelle ore misteriose del tramonto; il puro ovale del volto era s’affuso d’un pallore appassionato e, nella bocca mobile, ove il raro sorriso somigliava a un raggio d’amore, tutte le impressioni passavano, rapidamente, alternando una certa alterezza triste con la più schietta amabilità.

Uscii dal salotto d’Irene Saradia con l’animo fortemente agitato: ella m’aveva detto che aspettava con impazienza la prima della mia «Eva» e questo pensiero mi destava nell’anima una contentezza quasi angosciosa.

Il giorno appresso la udii recitare per la prima