Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 215 — |
ad un antico Crocifisso d’avorio ch’ella teneva in gran pregio. Mi parve che avesse pianto e le lagrime che cercava indarno di reprimere, invece di commuovermi, m’irritarono.
— E inutile che tu pianga, Emilia, — le dissi freddamente — il mio dramma è finito, l’ho scritto per il teatro: esso deve andare in scena. Se tu mi chiedessi di rinunziare a questo mio divisamento, non potrei compiacerti, perchè non mi credo in dovere di cedere ad una femminile debolezza... E necessario ch’io abbia una mèta nella vita.
— Non ho mai pensato a chiederti dei sacri fizii, Curzio, — ella disse con grande bontà, alzandosi, — il tuo piacere è sempre stato la mia massima gioia. Credevo soltanto che tu potessi scegliere una mèta migliore. Temo sempre che l’arte diventi un ostacolo alla nostra contentezza. Non so perchè io abbia questo senso di paura, questo presentimento ch’essa debba dividerci Sarebbe così dolce la nostra intima vita lontani dal mondo....
— La famiglia, la quiete, la solitudine sono conforti che l’Uomo apprezza soltanto dopo la battaglia.... io anelo ad una vita intellettuale, larga, intensa — esclamai; — quand’ho lavorato, ho bisogno d’attingere idee ad una fonte viva, non posso disperdere tutta l’energia della mia giovinezza nei languidi ozii della campagna.... Ma è meglio che, su questo, non ragioniamo, Emilia, perchè non c’intenderemo mai...