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Ardeva ancora in me la febbre della creazione; nella lettura ad alta voce il mio lavoro m’esaltava; mi pareva che la figura d’Eva si disegnasse sullo sfondo come una cosa viva. Emilia ascoltava con un’attenzione intensa, ma s’era fatta pallida, le mani le si agitavano convulse in grembo.

Dopo il second’atto ella m’interruppe:

— Il soggetto mi sembra molto arrischiato... ma forse.. nella conclusione...

— La conclusione è ancora più forte, cara Emilia — io risposi tranquillamente.

— Dunque la tua Eva è una donna senza principii, senza coscienza, e tu la difendi, tu l’assolvi come un complice.

— Il dramma è oggettivo. Io non la difendo, nè la condanno. Eva Arnim è un tipo, Uno studio, è una donna perla quale l’unico principio è l’amore. Ella non è priva di coscienza, soltanto la sua coscienza è diversa dalla tua...

Ella mi guardò, meravigliata e disse, con dolcezza:

— Continua, Curzio.

Il dramma correva rapido al suo fine ch’era la volontaria morte d’Eva.

Emilia m’aveva seguito sempre con la stessa intensità. Quando riposi il manoscritto ella domandò soltanto:

— L’hai destinato alla scena?

— Certamente, Emilia; non saresti contenta se questa mia speranza s’avverasse?