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della sera il termometro segnava quaranta gradi. Nella casa cominciava a diffondersi un senso di spavento e d’angoscia. Io stava sempre nell’anticamera. Alle tre del mattino Fräulein Frühmann uscì per ordinare del ghiaccio e passando, mormorò:

— Ho detto ad Emilia che siete qui,, ella vi prega di coricarvi.

— Non posso. Non reggerei lassù. Vorrei fare qualche cosa anch’io, Fräulein . Mi mandi fuori, dal medico, in città, ove crede... disponga di me.

— Oh, crazie Voi potete stare a casa e far molto lo stesso. Voi potete cambiare vostra risoluzione e non esser tanto superbo. Vostra parola vale più di rimedio. Chinin, antipyrin... tutto niente, questo ci vuole! — E additava vivacemente il cuore. Poi soggiunse ancora una volta:

— Se la povera Emilia sapesse! weh mir, weh mir! - si mise un dito alla bocca e scappò via.

Sotto una forma esterna quasi ridicola, Alwine nascondeva un cuor d’oro: durante il mio soggiorno a villa Subeiras avevo avuto spesso l’occasione di convincermene.

Incapace d’un volgare pensiero, ch’agiva evidentemente per l’impulso d’un desiderio affettuoso, d’una gentile speranza. Forse, nel suo cervello romantico di tedesca, ell’aveva immaginato che la felicità dello spirito potesse costituire per la signorina Subeiras un elemento di fisica salvezza. Comunque fosse, il solo amore del bene induceva