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tante care memorie e implorando un benevolo compatimento mi segno, ecc.»

Consegnai la lettera al cameriere e un’ora dopo mi pervenne la seguente risposta:


«Signore,

«Dimentichi, La prego, il colloquio ch’ebbe luogo fra noi. Io pure mi studierò di cancellarne dal cuore la penosa memoria. In quanto al lavoro della biblioteca, desidererei, se ciò non Le riesce di troppo grave disturbo, ch’Ella si compiacesse di condurlo al termine. Mi creda sempre di Lei

«Obbl.ma Emilia Subeiras».


Queste righe, così laconiche, così blande, mi rassicurarono sul conto della signorina Subeiras. Le mandai subito un biglietto in cui le dicevo che mi farei un dovere di compiere con la massima sollecitudine l’opera mia. E mi ci rimisi di lena. Due tre volte, dalla finestra, vidi Emilia aggirarsi fra le aiuole del giardino, ma non ebbi più il coraggio di scendere la sera. Un giorno m’imbattei nel corridoio in Fräulein Alwine che mi rivolse uno sguardo addolorato e un freddo saluto.

«È informata d’ogni cosa» dissi fra me, e mi studiai d’evitarla. Durante un’intera settimana non incontrai più nessuno, ma una mattina scorsi il medico entrare ad ore insolite nella villa, e, avendo chiesto al cameriere se vi fossero ammalati in casa, colui mi rispose: