Pagina:Turco - Canzone senza parole.djvu/200


— 192 —


Mi pareva infatti di dover richiamare da quell’apparente sogno il mio pensiero alla realtà della vita. Il cuore agitato mi martellava in petto.

— Non posseggo alcuna esterna attrattiva, lo so, ma il mio cuore è assetato d’affetto e s’ella non ricusa la mia proposta, troverà in me una buona e tenera moglie — disse Emilia, coraggiosamente.

— Io sposare la signorina Subeiras! — esclamai — no, no, è un onore, una distinzione di cui mi sento affatto immeritevole.

Ella fece un cenno espressivo con la mano e continuò, non senza amarezza:

— Non dica così, Alvise. Un uomo come lei deve avere la coscienza del proprio valore.

— È appunto dinanzi alla coscienza che un tale matrimonio avrebbe bisogno di giustificazione.

Crudeli, crudeli parole erano le mie ma io sentivo un feroce istinto di sincerità. Ebbi anche il cuore di guardarla freddamente. Dalla sua fisonomia scorretta ma caratteristica, traspariva più che l’intelligente pensiero, la pura, quasi austera onesta dell’anima. Nondimeno ella mi sembrò, come sempre, assai brutta. Piccola e tozza, Emilia mancava, nelle forme, di ogni grazia, d’ogni leggiadria femminile. L’unica sua bellezza erano i capelli lunghissimi, bruni e folti, ma scevra affatto di vanità, ella li stringeva sulla breve fronte, come una benda, senza un ricciolo, senza un’ondulazione; negli occhi neri era una dolce espressione di tenerezza