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— Fra gli uomini che ho conosciuti, uno solo ha saputo ispirarmi quel sentimento di stima e di amicizia che deve destare in noi il compagno della nostra vita. Questo giovane non s’è mai curato di me, se non per debito di cortesia, ma nei giorni più strazianti del mio dolore ha voluto dividere meco, tacitamente, molte ore terribili e indimenti- cabili. A lui mi vincola, oltre quell’istinto del cuore che non si spiega, una riconoscenza pro- fonda... a lui sacrifico volentieri la naturale ritrosia dell’animo e rivelo con coraggio il mio segreto o la mia cara speranza...

Lo sguardo della signorina Subeiras mi cercava, timidamente. Povera Emilia, ella m’appare ancora qualche volta com’era quel giorno, ritta nella sua poltroncina di giunchi (non s’abbandonava mai ad alcuna posa languida o molle), vestita a bruno, colle mani convulse e strette... Vedendo ch’io me ne stavo silenzioso, ella proseguì con la voce ^alte- rata da una forte commozione:

— Devo esprimermi ancora più chiaramente? devo dirle anche il nome ?...

— Io? sono proprio io? — balbettai con anime non solo attonito ma anche renitente.

Ella annuì chinando gli occhi e soggiunse, non senza un certo imbarazzo:

— Non volevo scrivere nè farle parlare da altri, perciò ho dovuto venire io stessa...

— Sono così confuso, così sbalordito, signorina, che non trovo parole...