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con una breve e severa epigrafe in memoria d’E-
milia Alvise de Subeiras. Essa finiva con le pa-
role del rito nuziale:
— Quod Deus conjunxit homo non separet.
— Ha voluto essere sepolta qui — mi disse — accanto ai suoi cari e presso la chiesuola ove sposammo.
— Ella t’amava molto?
— Molto.
Gli occhi di Curzio erano fissi, con una strana intensità, sul piccolo sepolcro.
— Non ne fui degno... — continuò egli, come fra se. — Ti farò la mia confessione. Non ne ho mai parlato con nessuno.
Ma non ebbe mai la forza di narrarmi la sua storia. Una sera mi portò un rotolo di carte.
— Ecco — disse — ho scritto minuziosamente, quello che mi sarebbe impossibile di raccontare. L’ho scritto per te, mi sono aperto e confessato perchè tu mi giudichi e mi condanni.
La notte, chiuso nelle mie camerette, io lessi con attenzione il racconto che fedelmente tra- scrivo cambiando soltanto i nomi.
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Venivo da Firenze, per raggiungere mia madre a Torino, quando, in un giornale, dimenticato da un viaggiatore nel mio compartimento, mi cadde sottocchio l’avviso di concorso per il posto che