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— Era la mia signora.

— L’hai perduta?

— Perduta.

— La molto tempo?

— Sono due anni.

Le sue risposte laconiche non mi permisero di interrogarlo più oltre.

Intanto avevamo preso un lungo viale di tigli in fondo al quale appariva la facciata grigia della villa. Era una costruzione di buono stile, arieggiante il castello medioevale. Il largo fosso che una volta la circondava era stato colmato di terra e ridotto ad uso di giardino.

La carrozza s’inoltrò, passando sugli avanzi di un antico ponte levatoio, in un porticato che metteva al cortile interno tutto verde di rosai rampicanti, i quali salivano fino alle finestre, circondando le persiane di fiorite ghirlande. Smontammo e, subito, Curzio m’introdusse nell’appartamento a terreno, ch’era adesso, oltre i quartieri dei domestici, l’unica parte abitata della casa.

Vidi una camera da letto di stile antico, un gabinetto da bagno, un ampio studio e un salotto messo con femminile eleganza. In un angolo di questo, sovra un tavolino, era un paniere con entro non so qual ricamo cominciato. Scorgendo nel mio sguardo un’altra involontaria domanda, egli spiegò brevemente:

— Era il lavoro d’Emilia, qui è rimasto tutto al medesimo posto.