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flessiva e profonda in cui tante future virtù morali e intellettuali ogni momento s’annunziavano con una parola efficace, con uno sguardo dicente, con un atto generoso; e le idee piuttosto gravi che il giovine, condannato dalla sventura a precoci amarezze, le veniva esprimendo sulle cose della vita e degli uomini, filtravano sicure in quella piccola anima donde un eco sempre più armonico e più forte rispondeva.

Ogni anno, alla fine di novembre, al ritorno dalla campagna, Montalto trovava la sua scolara cresciuta e mutata, ma i volubili cambiamenti di quel volto d’adolescente non contradicevano mai all’immagine che il giovane s’era formato di Violante a diciott’anni e che gli stava sempre dinanzi come una visione.

Sebbene fosse molto magra e sottile, e avesse le braccia lunghe e quella sproporzione nelle gracili forme che toglie alle volte ogni eleganza alle giovinette, Violante serbava pur sempre nella sua dolce fisonomia, nei grandi occhi d’un colore indefinito, fra il grigio, il ceruleo e il nero, nel sorriso, ora lievemente malinconico, ora spiritoso, una singolare attrattiva: il fascino intellettuale al quale pochi uomini sono sensibili ma tanto più intensamente.

A sedici anni la signorina di Piace era già una buona dilettante di pianoforte; sapeva fraseggiare ed accentare efficacemente; suonava con severità di stile i classici e con raro buon gusto i romantici. Montalto aveva coltivato, a preferenza,