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la pura fronte, circondata da una treccia bionda, posa tranquilla sul casto guanciale e sogna forse il martirio che il fulgente angelo sta per annunziarle.

— Vede, mi diceva Anna, la spirituale bellezza, di queste due Sante, in tanta meraviglia di cose grandi, mi tiene un impero sull’anima: il sentimento, non è forse la potenza più durevole nell’arte?

Eravamo soli, nella sala del Carpaccio. Io lessi ad Anna la leggenda di Jacopo da Varagine, poi ci trattenemmo ancora discorrendo, ella seduta, io in piedi presso di lei. E a poco a poco accadde che, nel ragionare su quella sua domanda, si venisse ad un colloquio più confidenziale. Io mi sentii convinto di lei come d’una luminosa verità; una tenerezza infinita mi prese e il mio cuore esulcerato effuse abbandonatamente il proprio affanno: io narrai alla cara creatura tutta la mia storia, l’amara storia che a nessuno avrei voluto confidare.

Anna sollevò verso di me gli occhi umidi di pianto, senza proferire parola. La sua tacita pena mi consolava. Poi, ella pure raccontò tutto il passato dell’orfana sua vita e gli studi compiuti fra gli stenti e il tormento di quella sua incompresa missione d’educatrice, fra bambini viziati, in casa di gente altera e fredda. A Venezia era venuta, durante le sue brevi vacanze, per salutare una vecchia amica della sua famiglia, per sodisfare un vivo desiderio di diletti intellettuali.