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— Sì, ma la tua tempra ardente mi fa paura, sei imperioso, non sei cauto abbastanza, una tua parola potrebbe tradirmi e compromettermi per sempre.... anche ieri mi hai fatto tremare....
— Ho mancato, lo sento, dovevo allontanarmi ma non potevo, ero incatenato....
— Hai fatto male, Mariano, e dovresti meglio comprendere i riguardi che mi devi....
Ella m’amava, lo aveva detto, ma il suo affetto era dominato dalla ragione, dall’opportunismo, dalle esigenze sociali, e la mia folle brama di vederla somigliava all’indiscrezione d’un estraneo....
Un singhiozzo disperato mi strozzava la gola e la gondola continuava a scivolare sulle luride acque dinanzi alle alte muraglie dei palazzi silenziosi.
Finalmente mi sovvenni d’essere uomo, compresi la stoltezza della mia folle illusione e, raccògliendo tutta l’energia rimastami, frenai le lagrime che mi bruciavano le guancie, soffocai l’angoscia che mi torturava, mi sforzai d’apparire tranquillo e risposi con quiete alle domande ch’ella mi andava rivolgendo, forse per distrarmi. Erano domande vaghe, un po’ frivole forse e io le ascoltavo con uno scoramento profondo.
Ad un tratto, ella disse, guardando il suo piccolo orologio:
— È trascorsa un’ora, Mariano, ove siamo?
Io scostai la cortina.
— Presso al punto di partenza, mamma, alla piazza di San Giovanni e Paolo.