Pagina:Turco - Canzone senza parole.djvu/161


— 153 —


nome, poi seguii, con passo mal sicuro, il cameriere. Egli m’introdusse in un salotto ove regnava una certa oscurità e abbagliato com’ero dalla luco della Riva non vidi più nulla. Aspettai un minuto, indi una porta s’aperse piano e una figura di donna m’apparve confusamente nel vuoto, colle braccia protese. Io mi precipitai follemente entro quelle braccia e, per la prima volta, gustai l’ineffabile dolcezza dei materni baci... Oh! quel divino momento non tosse mai trascorso!

Ella sedette, mi chiamò a se dappresso e ci guardammo l’un l’altro con intensità. Il mio sguardo ormai avvezzo a quella penombra, distinse chiaramente il materno sorriso... Mia madre era una donna piccola, delicata, gentile d’aspetto, mi sembrò ancor giovanissima. Un’aureola di capelli circondava lo squisito ovale del suo volto, ma quei capelli erano rossi, d’un fulgido colore tizianesco, e, nel ritratto, apparivano biondi e biondi me l’aveva descritti Gozzoli. Me l’ero immaginata bionda la mamma, e quella chioma fulva mi faceva un senso strano di meraviglia, mi distraeva quasi dalla mia muta adorazione. Ci guardavamo ancora tenendoci per le mani, ma io mi sentivo così agitato dalla gioia, che temevo, ad ogni istante, di venir meno fra le sue braccia. Mi erano saliti dal cuore alle labbra i più dolci nomi da dirle, a conforto del turbamento che, non senza una segreta angustia, m’aspettavo di scorgerle in viso, ma ella non era punto smarrita, e dinanzi ad