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mente, con un piccolo atto energico ed espressivo della testina riccioluta, — ma mi dica, signore... spero ch’ella vorrà suonarmi tutti i giorni qualche cosa, per esempio, l’adagio della sinfonia in do minore di Beethoven che abbiamo udita la settimana scorsa al liceo; io non so che le prime battute, le ho cercate da me, sulla tastiera...
Montalto si mise al pianoforte. Egli non suonava se non per accennare i pezzi agli scolari, ma non potè a meno di fare una eccezione per Violante, e ricordò tutto quel divino adagio con grande intensità d’accento.
La fanciulletta ascoltava attentissima. Aveva congiunto le mani per la gioia, il suo sguardo era intenso, il suo sorriso raggiante.
— È bello, è grande, non è vero? — disse Montalto lasciando il suo posto; — ma ora dobbiamo sacrificare le cose ideali allo studio.
La marchesa prese un libro e si mise in disparte; il maestro e la scolara tornarono da capo colla scala di do.
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Montalto dava una lezione quotidiana a Violante. Così, tolti i cinque mesi che la marchesa soleva passare in villa, ove d’altronde era spesso invitato, egli s’avvezzò a godere tutti i giorni, in casa Riace, quell’ora che lo compensava largamente delle fatiche per lui gravi dell’insegnare, quell’ora di raccoglimento, nel silenzio della stanza