Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 151 — |
🞻 🞻 🞻
Da un’ora, non avevo più pensato a mia madre. Ne sentii un rimorso cocente, corsi alla posta, e vi trovai il seguente biglietto:
Caro Mariano,
«Domani i miei figliuoli vanno a Chioggia. T’aspetto alle undici, qui all’albergo. Ti presenterai come il signor Adriano Delfiore. Ricordati che una somma cautela è necessaria. Distruggi subito la mia lettera... Addio
tua Madre.»
Alla lettura di queste righe il mio cuore cominciò a palpitare e palpitò tutta la sera e tutta la notte. Passai molte ore dinanzi all’albergo Danieli senza veder nessuno: uno spossamento profondo mi ricondusse sfinito al mio alloggio. Ogni tanto rileggevo lo scritto di mia madre, lo baciavo anche, tentando trovare fra le righe un’espressione di tenerezza. Mi sembrava che il laconismo di quelle parole derivasse da un naturale riserbo, e il mio affetto s’infiammava d’una pena crudele. Ma il pensiero di dover prendere un nome falso mi destava nell’animo un senso di ribrezzo, il nome volgarmente romantico, che mi era stato imposto, mi faceva orrore, e allora la piccola busta profumata, nei miei ardenti baci, mi bruciava le labbra come un oggetto clandestino.