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amorosa dolcezza, mi. trattenne a lungo sovra un tetro ponte, dinanzi ad un alto palazzo dalle finestre trilobate.
Nella mezza luce duna piazza intravidi il nobilissimo e fiero cavaliere del Verrocchio, poi i miei passi vaganti mi ricondussero quasi inconsapevole alla riva degli Schiavoni.
Nell’ampio bacino di San Marco tutto dormiva sulla nerezza turchina delle acque, le barche, i bastimenti, i vapori. Dormiva un yacht bianco, fantastico, ancorato presso alla chiesa di San Giorgio. Si taceva, assorto nelle sue memorie, il palazzo ducale.
Udii ad un tratto il tonfo d’un remo e un fruscio simile a quello delle stoffe di seta: era una gondola che guizzava furtiva sotto il ponte dei Sospiri e che subito scomparve nel canale tenebroso. Quel canale e quel memore ponte mi misero un brivido nell’ossa.
I caffè si spopolavano; la riva era ormai deserta, la notte alta, mite, sciroccale.
Mi ridussi lentamente dinanzi all’albergo Danieli ove ogni lume era spento, m’avvicinai alla riva che l’onda accarezza con un mormorio lieve. Nulla più s’udiva fuori di quel mormorio dolcissimo e un rombo lontano, la voce sorda del mare un po’ burrascoso. L’armonia indefinita della notte m avvolse. Le tempie m’ardevano, il mio cervello era in subbuglio, visioni continue e diverse mi passavano dinanzi al pensiero come fossero portate da un’interna bufera.