Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 133 — |
nale del Brenta mi parve interminabile. Nel mio ardente desiderio della mèta guardavo, con occhio distratto, ai paeselli, alle borgate sparse nel piano, alle ville, ove l’arte dell’affresco ha profuso un tempo i suoi tesori e che un po’ tristi ora e neglette si nascondevano dietro i rami dei salici spruzzati d’un tenero verde novello.
Un vaporetto giallo attendeva, placidamente ancorato, allo scalo primitivo di Fusina. Un’unica persona, una signora era scesa dal treno prima di me, m’aveva preceduto nella cabina, senza voltarsi. Il primo momento il mio cuore ebbe un tale sussulto che mi parve di venir meno: desideravo quasi che non fosse lei, come se mi mancassero le forze per affrontare quel sospirato incontro. E nello smarrimento mortale della mia anima le rivolsi un timido sguardo.. Ah no, no, non poteva essere la mamma. Era una donna molto giovane, forse una fanciulla che le circostanze costringevano a viaggiare sola.
Il vaporetto aveva appena salpato quand’ella s’alzò e uscì quietamente dalla cabina. Alla mia violenta agitazione succedeva una profonda amarezza. Ove si trovava in quel momento mia madre? ove la raggiungerei? Incapace di starmene così rinchiuso, con quei dolorosi pensieri, volli cercare i conforti della natura, uscii sul ponte e andai a cercarmi un posto a poppa, in vista del paesaggio. Con viva sorpresa m’accorsi che quella signorina m’aveva preceduto. Senza curarsi del disagio ella