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Fornito di attitudini non comuni, Montalto, nell’adolescenza, aveva studiato indefessamente, coll’intenzione di percorrere la carriera del concertista, ma quella grave sventura e lo squilibrio nervoso venuto ad alterare, dopo il disastro, il suo sensibile organismo d’artista, l’avevano costretto a rinunziare ad un sicuro successo per dedicarsi alla monotona e per lui faticosa professione del maestro di pianoforte.

Egli era l’unico, amorevole appoggio di sua madre e d’una sorellina, della piccola famiglia superstite e caduta a poco a poco dall’agiatezza al bisogno.

La marchesa fece subito chiamare la bambina che intendeva affidare alle cure del valente musicista e da lì a poco comparve, esitando, tra le falde d’una portiera, una fanciulletta undicenne, d’aspetto esile e gentile.

Era vestita di bianco e i lunghi capelli, di un castano fulvo lumeggiato d’oro, le scendevano colla più pittorica profusione sulle spallucce e sul petto, sfumandole vagamente il gracile ovale del volto.

La marchesa trattenne con un cenno il giovane che voleva alzarsi per andarle incontro, e la bambina s’avvicinò salutando. Non era bella, ma la sua testina aveva una sì pura leggiadria di disegno e spirava dalla fronte, dagli occhi, dalla bocca un raggio sì vivo di bontà intelligente e di precoce energia che Montalto rimase un minuto immobile a contemplarla.´