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sembrò trovare nel silenzio ch’era successo alla loro partenza e nella palese benevolenza della padrona, un senso di pace.
In gennaio, Natalia era ancora in casa Pallano e aiutava donna Clara ad allestire il corredino per il primo figlio di Lodovico. Ella lavorava assidua intorno ai minuscoli arredi d’un’eleganza vaporosa: le sue mani abilissime producevano a dozzine le camiciuole di batista guernite di trine, le cuffiette, i guancialini della culla, o ricamavano con arte mirabile il velo bianco e le cifre colla corona comitale, sulle piccole lenzuola.
Passavano i giorni monotoni e tranquilli e l’uniformità della vita sembrava assopire in una dolce rassegnazione il cuore della fanciulla.
Quando gli sposi annunziarono il loro ritorno ella sentì un brivido correrle per fossa, un nuovo smarrimento alterarle il cervello e il pensiero di partire le si affacciò più imperioso che mai.
Ma Alfonsina arrivò dal Belgio in uno stato di salute così deplorevole da destare le più serie apprensioni. Per molto tempo la casa Pallano non s’occupò che di lei e Natalia, dimenticando sempre se stessa, fu vinta ancora una volta dalla propria generosità.
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Verso la fine di marzo, una notte, le parve che vi fosse del rumore sulle scale e si mise in ascolto. Erano passi discreti, voci sommesse, a cui succede-