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stocratica era temprata dalla più geniale eleganza gli venisse incontro un profumo di schietta e familiare ospitalità, d’intima e squisita grazia femminile.

In quell’appartamento difatti abitava, disdegnosa del mondo, una donna che il destino aveva fulminata sul fiore della giovinezza ed a cui il solo amore materno insegnava ad apprezzare una seconda volta la vita, sebbene dalla vita ella più nulla sperasse. Era una specie di chiostro nel quale la marchesa Vittoria di Riace, rimasta vedova a ventisei anni, rinunziando ai diletti e ai privilegi dell’età e della sua condizione e circondandosi di pochi parenti e di due o tre amiche, si ritirava nella stagione invernale per dedicarsi interamente a Violante la sua unica figliuoletta.

Gabriele Montalto fu ricevuto subito dalla giovane signora sulla cui bellezza un po’ scultoria il rimpianto persistente del passato aveva diffuso, senza attenuarla, un’ombra di nobile melanconia che ispirava, oltre il rispetto, la venerazione.

L’accoglienza più che benevola, lusinghiera, che ella fece al maestro, lasciava delicatamente trasparire la simpatia pietosa che le destavano in cuore l’aspetto signorile del giovane e la deformità che ne deturpava il corpo.

Vittima d’un fatale scontro ferroviario, in cui gli si era sfragellata la gamba sinistra, il giovane era zoppo e, intollerante di qualunque apparecchio chirurgico, si reggeva con una gruccia.