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XLIV. Di Poggibonsi Arrigo anch’ei fece ritorno a Pisa, ed ivi costimi vicario Francesco di Tano Ubaldini, che quattro anni dianzi avea rimesso il Faggiolano in Arezzo. Un di, avvicinatosi alle prigioni pisane, l’imperatore ascoltò i gemiti di alcuno che, piú egli appressavasi, e piú implorava mercé con lamentevoli grida: era Guelfuccio III della Gherardesca il quale dall ’antica prigione metteva nell’aver veduto Arrigo la speranza della propria salvezza. Compianta l’iniqua sorte dell’innocente, Arrigo il fe’ ritrarre in libertá da Niccolò vescovo di Butrintò: questi non tace che ciò spiacque forte ai pisani, tanto i pubblici sdegni aveano sopravivuto all’arcivescovo Ruggieri. Matteo della Gherardesca, figlio di Nino il Brigata, fu parimente rimesso in Pisa da Arrigo VII; il quale non tralasciava di fornirsi per la guerra contro il reame di Puglia.

Mentr’egli virilmente lo avrebbe assalito dalla parte di terra, Federigo di Sicilia ne avrebbe infestato i lidi. E intanto Roberto fu dichiarato traditor dell’imperio (aprile 23); della qual sentenza beffossi egli, ottenuto contrarie bolle di Clemente V e che Lucca e Firenze si ponessero nelle sue mani, giurandogli obbedienza per cinque anni. Prestamente Roberto inviò i suoi regi vicari nell’una e nell’altra cittá. S’ingrossava nondimeno l’esercito imperiale così delle soldatesche le quali venivano di Alemagna, come degli aiuti di molti principi ghibellini. Cane della Scala, impedito dalla guerra col padovano, appena fra i suoi veronesi ed i mantovani dei Buonaccolsi potè inviar dugento cavalli (luglio): ma i lucchesi li fecero prigionieri a Carrara, e s’impadronirono dello stendardo imperiale di Cane stesso (agosto 5). Alla fine l’imperatore mosse di Pisa per la Maremma verso il reame di Puglia, e Federigo di Sicilia si mise in atto di fargli schermo con l’armata costeggiando il Tirreno. Giá Roberto, per ischivare quell’empito, era presto a navigare in Provenza, quando subito morbo recise i giorni di Arrigo a Buonconvento vicin di Siena, e disperdé cotanto apparato di armi. L’amore dei popoli per le maraviglie fece credere avvelenato l’imperatore da frate Bernardo di Montepulciano nel sagramento del corpo di Cristo: