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prima, perché gli ha mostrato come anche il Troya «apprezzi al giusto valore le passioni attuali e gli storti giudizi che fanno storpiare da tanti la storia dell’ VIII secolo, le origini del dominio temporale, e in generale tutte le questioni dei papi». Gli ultimi scrittori tedeschi, ch’egli sta leggendo, diversi di paesi di lingua di religione, sono pure «per lo piu non che moderati», egli dice, «ma favorevoli a quelle mie opinioni. Che vergogna, che ignoranza non parrá la nostra, se non sappiamo nemmeno seguire il loro esempio». E passa poi alle piú particolari osservazioni fattegli dal Troya. Accetta di usare romani invece che italiani, e servi invece di schiavi. E nota: i° Il paragone dei romani con i crociati e gli ebrei «non par che stia. I crociati e gli ebrei eran prigioni trasmigrati, trasportati fuori del paese loro in quello del vincitore, e, pochi, eran tenuti da molti. All’ incontro i romani erano anzi essi a casa loro, sul proprio suolo; e in numero sterminatamente maggiore che i longobardi». Supposta 1 ’esistenza d’una lettera di Gregorio magno a qualche cittá longobarda coll’intitolazione Ordini et plebi sarebbe assurdo ammettere che fosse indirizzata ad un organo non esistente, e preferibile supporre che i romani, anche aldiati, avessero mantenuto la curia. 2° Non si vede la necessitá che vi fosse una concessione legislativa dei longobardi perché i romani mantenessero cittadinanza romana e diritto romano. Presso i longobardi dovette avvenire come presso i franchi, i burgundi, i visigoti, gli ostrogoti; i titoli di consoli e di patrizi presso alcuni re di questi popoli non significavano piú che quello di flavio portato dai re longobardi. 30 «... non massimamente dalla non ammissione della legge bavarese, si può dedurre che... non durasse la legge romana... I longobardi furono sempre pochissimi. Piú pochi ancora gli altri germani venuti con essi. Quindi non parvero degni né capaci di serbar legge diversa. Ma ad abolir le leggi dei romani potè ostare appunto la loro gran moltitudine...». In attesa d’aver dal Troya la «piú intrinseca spiegazione delle leggi 37 e 74 di Liutprando», il Balbo dichiara: «Confesso che su ciò, e sulla esistenza della legge romana anche nel caso che i romani fossero tutti ridotti ad aldi, io mi sono fatto in capo mio tutto un sistema alquanto diverso dal suo». Nella lettera del 21 gennaio 1831, dopo, cioè, la quinta del Troya, pare che il Balbo si accosti all’opinione dell’amico sulla non esistenza «dei romani ingenui (tranne le eccezioni)», ma pare anche che, immerso com’era negli studi degli scrittori tedeschi