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seconda delle occasioni, dei vari momenti e condizioni, dell’attimo fuggente della storia, anche a seconda delle disposizioni dell’animo suo, il poeta non si illudesse di vederlo incarnato nell’uno o nell’altro di quelli che furono i protagonisti sulla scena storica del suo tempo»(i). Additando l’indirizzo del Dòllinger riguardo alla critica del veltro dantesco, di cui s’era giovato parzialmente il Medin, egli esamina la tradizione profetica anteriore e contemporanea all’Alighieri, e conclude che sia quella «guelfa che ghibellina ci mostra... come alla mente di quegli uomini balenasse di preferenza l’ideale d’un principe laico, distruttore dei vizi, instauratore dell’ordine morale e politico e religioso». A proposito delle tre fiere, dice il Cian, in una nota (35), che gli «par evidente che... l’Alighieri abbia di preferenza l’occhio a tre luoghi e, indotto da motivi facili a comprendersi, tenda a localizzarle, per dir cosi, in tre regioni, corrispondenti per lui a tre centri d’infezione politica: Roma, la Toscana, specialmente il suo capo, Firenze, e la Francia». Afferma ancora il Cian che i critici, quand’egli scriveva, si accordavano nell’ainmettere «che Dante non cominciasse a comporre ordinatamente il poema prima del 1308, cioè poco innanzi all’impresa di Arrigo e poco prima d’aver compiuto (secondo l’opinione piú probabile) ma quando oramai aveva maturato nella sua mente il De monarchia». E combattendo il Fenaroli, si propone di dimostrare che il veltro per Dante «poteva, anzi doveva, essere un imperatore o un grande e virtuoso personaggio laico, un eroe ghibellino nel significato piú largo ed elevato della parola»; e in seguito afferma ancora «che sarebbe supremamente arbitrario escludere... dall’allegoria principale... la tesi politica che scaturisce e vibra e lampeggia in tutto il poema» ( 2 ). (1) Alla nota (58) dice: «Credo giustissima, conforme alla logica e alla storia, conforme alle attestazioni serbateci nelle opere di Dante, l’idea propugnata da Giacomo Ferrari xxé\V Elruria del 1851, e citata dal Frenaroli (p. 23), che cioè il poeta avrebbe successivamente pensato a piú d’un eroe». (2) Del Cian si può vedere anche: Dante e Cangrande della Scala, in Dante e Verona, Tip. coop., 1821. Inoltre egli accenna alla questione del veltro anche nella recente sua recensione dell’opera dello Zingarelli, La vita, le opere e i tempi di Dante, Milano, Vallardi, 1931, nel Giornale slor. della lett. il., Voi. L, f. 295-296, marzo 1932. Notando come lo Zingarelli ritenga probabile la spiegazione dell’espressione. «Tra feltro e feltro» data dal Regis (Studi Danteschi, v. IV, 1921), che situati cioè di accenno profetico ad una regolare elezione con le urne foderate di feltro, (con cui dice il Regis, si elegeva e si votava nella vita pubblica dei comuni.